È così ed è così che vivrà a lungo

Dieci anni

Il bruscello di Castelnuovo ha compiuto dieci anni e festeggia
 il suo compleanno affacciandosi curioso a un’altra età, a un altro tempo
 della vita.
E allora si brinda, si guarda il filmato di una storia iniziata un secolo prima, si
 ricordano i momenti divertenti, ma si riflette anche su come continuare un percorso, 
una tradizione, con qualcuno in più e con qualcuno in meno. Come con
 il primo sole di primavera: si aprono le finestre e si dà aria alle stanze: è il cambio
 di stagione.
Il bruscello, da quel lontano 1997, scandisce la stagione e il tempo di una
 comunità: d’inverno prende vita il cantiere, si abbozza il testo, si fanno le 
prove con e senza la banda, si cuciono i vestiti, si discute sulla scenografia, si
 creano oggetti e marchingegni che serviranno per la rappresentazione che,
 nella terza settimana di giugno, prende vita nello splendido scenario di Villa 
Chigi. Ma ciò che più sconvolge è il fatto che da gennaio l’anagrafe del cantiere 
cambia nome e volto a pacifici impiegati, a geometri, a segretarie d’azienda,
 meccanici e operai agricoli: fino a giugno e per sei lunghi mesi ognuno 
si veste di panni diversi da quelli della vita cosiddetta normale.

E quindi 
può capitare di vedere Ulisse offrire il caffè al bar a Polifemo oppure Orlando
 litigare furiosamente con Medoro per i ritardi della consegna della nuova casa
 oppure Don Chisciotte che, dopo lunghi appostamenti, riesce a portarsi al
 cinema la bella Dulcinea. Tutto può succedere.
La compagnia dei bruscellanti è cresciuta e ha affinato i propri mezzi tanto 
da apparire una vera e propria compagnia teatrale. C’è una ferma volontà di
 continuare, di rinnovare quella che ormai è divenuta un’esperienza originale 
e riconosciuta di teatro popolare e comunitario. Ma la volontà non basta da 
sola a mantenere fresco e autentico un prodotto dell’arte povera; un’arte che 
bisogna non perda la sua funzione sociale, che mescoli il passato con il presente 
per non cadere nel fascino del tranello filologico di far finta di essere 
ciò che non siamo oggi e neppure mai stati ieri.
 È lo spirito dello spettacolo all’aria aperta, libero ed estemporaneo, che va
 mantenuto. Un incontro con il pubblico senza condizionamenti di vincoli scenici
 né l’assillo della perfezione esecutiva che sono propri delle rappresentazioni 
teatrali, che godono invece di spazi chiusi e che hanno altri rituali e convenzioni.
 E sono le figure-mito di ieri e di oggi che devono continuare a essere
 lette e proposte attraverso la classica ottava rima e quell’impasto di generi
 musicali e teatrali che fanno del bruscello di Castelnuovo almeno un qualcosa 
di unico, di difficilmente classificabile in una forma canonica di spettacolo.
È così, ed è così che vivrà a lungo.

Luca Bonechi e Fabio Tiezzi

Il Bruscello verso il futuro

Nove anni sono un periodo significativo per cominciare a valutare il
 risultato di una scommessa difficile. Proprio nove anni fa, infatti, ci
 fu la ripresa della vecchia tradizione popolare del Bruscello, con la
rappresentazione del Guerrin Meschino. Una nuova versione di quest’opera
 chiude, in perfetta circolarità, la prima fase di un progetto che ha raggiunto il
 decimo spettacolo. L’inizio aveva privilegiato la versione scenica di uno dei 
testi più diffusi, per secoli, nella cultura popolare. Le vicende avventurose del
 personaggio avevano catturato a lungo la fantasia di lettori e di ascoltatori 
analfabeti che assistevano alle letture pubbliche. Una testimonianza preziosa di 
questa diffusione sta nella celebre descrizione della biblioteca del sarto che
 ospita Lucia dopo la sua liberazione a opera dell’Innominato nel romanzo 
manzoniano. Questo orgoglioso autodidatta, che attribuisce al cardinale Federigo 
Borromeo la lettura di “tutti i libri che ci sono”, ospita il Guerrin Meschino 
accanto ai Reali di Francia – opera anch’essa di Andrea da Barberino – e al 
Leggendario de’ Santi.
 In questa scelta di un classico dell’avventura c’è anche una precisa intuizione. 
Contrariamente a certe idee di cultura popolare che hanno trovato un’espressione
 particolarmente grottesca nel cosiddetto “realismo socialista”, il 
popolo ama il genere fantastico. Se il suo bisogno di immaginario non viene
 raccolto adeguatamente, subentra l’assalto della pseudocultura consumistica,
 contrabbandata anch’essa come popolare. Su un altro versante, già negli anni
 Sessanta Ernesto Che Guevara, nella sua lettera nota come Il socialismo e l’uomo
 a Cuba, aveva ammonito a non spacciare come gusto popolare il gusto dei
 funzionari di partito.

Una visione d’insieme di questi dieci Bruscelli permette di affermare che 
queste insidie sono state evitate. Soprattutto è stata felicemente risolta la contraddizione implicita in ogni operazione di questo tipo. È evidente il rischio
 di cadere in un’esumazione artificiale e volontaristica di una forma espressiva 
legata a un’epoca profondamente diversa dal punto di vista sociale e culturale.
 Ma proprio la consapevolezza di questo pericolo ha permesso di orientare
 l’iniziativa in una direzione decisamente innovativa.
 Non si tratta di mantenere in vita a tutti i costi un prodotto che non ha più
 senso in un mondo cambiato. Quello che è in gioco è invece la capacità di
 interpretare nel nuovo contesto la funzione della cultura popolare. Ci sono 
alcuni cardini fondamentali per questa operazione. Uno di essi è rappresentato 
dall’attualizzazione discreta del trattamento stilistico. Il modello non è certo
 costituito da soluzioni truculente, sul tipo di quelle che oggi vanno di moda 
nella messa in scena delle opere liriche. Attualizzazione significa capacità di parlare al pubblico di oggi, non ripetendo la formula del passato, ma instaurando
 un rapporto comunicativo analogo con un pubblico nuovo.
 Un elemento decisivo per raggiungere questo scopo è l’impiego sistematico
 della musica. Essa diventa così non un supporto esterno, ma un elemento 
integrante dell’azione scenica. Attraverso di essa, il recupero del passato s’intreccia
 con la proiezione verso il futuro. La musica è un veicolo di trasformazione 
e lo dimostra, fra l’altro, un confronto fra lo spettacolo del 1998 e quello 
del 2007.
Più in generale, l’analisi comparativa fra i due testi rivela interventi 
sempre accurati e migliorativi,
a testimonianza di uno spirito di servizio verso 
una comunità che continua a sentire come proprio questo evento.

Antonio Melis